sabato 2 agosto 2014

Il reportage e gli inganni

Il rivoltoso sconosciuto di Piazza Tienanmen
 Jeff Widener, 1989, Associated Press

In questi giorni tristi di scontri sulla Striscia di Gaza, che una stagione sì e l'altra no è teatro di azioni militari, girano immagini e video che raccontano verità e falsità
Proprio oggi mi sono imbattuta in un video, con tanto di tappeto musicale arabo e malinconico (ignoro però il significato delle parole), che, usando il nome noto di Amnesty, accusa i soldati israeliani di seppellire vivi bambini palestinesi, con un intervento vero di Amnesty, datato 2002. Si vede una fossa poco profonda, in cui ci sono dei ragazzini in mutande, che si coprono il viso, e qualche soldato, senza nemmeno un fucile in mano, che butta su di loro sabbia senza troppa convinzione. Un paio sono praticamente a braccia conserte. Qualche commento svela l'arcano: è un'esercitazione dell'esercito giordano, un video del 2009 (il link qui). Niente israeliani e niente palestinesi insomma.
Tanti occidentali, che poco capiscono di cosa esattamente avviene in certe zone, sono cadute nel tranello. Siamo facili all'indignazione senza comprensione
Le immagini hanno grande potere, perché fanno leva sulla nostra parte emotiva e hanno un impatto diretto rispetto a un articolo di giornale che, per quanto ben scritto, consuma più energie dell'utente e presume lo sforzo della lettura. Ovviamente nemmeno l'articolo di giornale è esente da manipolazione, ma, essendo costretto a spiegare e ad essere in qualche modo chiaro, se dice qualcosa di sbagliato è più semplice individuarlo, si presta poco all'interpretazione. 
Valley of the Shadow of Death
Roger Fenton, 1855
Le fotografie, invece, sono nate insieme al fotomontaggio e alle manipolazioni della realtà. Ebbene sì: non sono più vere di nulla. 
Alcuni tentativi di documentazione autentica, atta a sfruttare certe peculiarità della fotografia, furono messe in atto con l'invenzione del reportage. Il primo reportage di guerra a diventare noto fu quello commissionato dagli inglesi per la guerra di Crimea. Pare che un primo tentativo fu, però, tutto italiano, con un resoconto di ciò che accadde in Italia nel 1849, durante il Risorgimento romano, da parte di un certo Lecchi, che realizzò dagherrotipie da utilizzare come base per delle litografie, che mostravano monumenti e palazzi storici romani dopo la battaglia. Fatto sta che il primo vero reportage è considerato storicamente quello di Roger Fenton che, con il suo carretto-laboratorio, partì alla volta della Crimea per documentare le truppe inglesi e tranquillizzare l'opinione pubblica anglosassone, contraria alla guerra inutile. Insomma il primo reportage nasce con l'intento di dimostrare che tutto andava bene, che era una guerra pacifica. L'informazione è manipolata in partenza.
Morte di un miliziano
Robert Capa, 1936, Spagna
A causa dei mezzi dell'epoca, siamo nel 1855, non è possibile documentare le battaglie, quindi quello che Fenton porta a casa sono i campi di battaglia deserti, i soldati in posa che prendono il tè, lasciando giusto qualche palla di cannone a testimoniare che lì era avvenuto qualcosa. Diversamente fecero alcuni fotografi napoletani nel 1862, dopo la presa di Gaeta, che fecero sdraiare alcuni soldati a mo' di cadaveri per dare tragicità alla scena
Fu Felice Beato, noto per le fotografie orientaliste, a documentare in modo drammatico ciò che avvenne in India negli stessi anni: per la prima volta c'erano corpi senza vita abbandonati sul campo di battaglia a documentare la dura repressione inglese.
Mathew B. Brady è invece il fotografo della guerra di Secessione americana. Anche qui si fotografano i campi di battaglia dopo l'azione e Brady tentò di vendere le sue foto al governo degli Stati Uniti. Questo ci fa capire un po' da che parte stava il suo occhio fotografico e come avesse ritratto ciò che era accaduto durante gli scontri. D'altronde si sa: la storia la scrivono i vincitori.  
The Napalm Girl
Nick Ut, 1972
Se vogliamo consultare l'informazione vera, quella pulita da questi meccanismi economici, dobbiamo guardare alle foto amatoriali, meno tecniche forse, ma meno manipolate e più spontanee. 
Cosa accadde nel Novecento? Finalmente le tecniche erano migliorate talmente tanto che le impressioni sui negativi erano veloci, quindi era possibile fotografare soggetti in movimento. Passiamo quindi all'indiscusso Robert Capa, che nella guerra in Indocina ci lasciò la pelle su una mina. Il famoso miliziano colpito a morte, durante la guerra spagno dal '36, è da sempre oggetto di discussione: è vera? Non è vera? E' una montatura? 
Nel nostro immaginario ci sono tante fotografie di guerra. Pensiamo a quella di Nick Ut sull'uso del napalm in Vietnam o alla famosissima foto di Piazza Tienanmen con il ragazzo cinese solo contro una fila di carri armati di Jeff Widener
La fotografia, quindi, non è verità, non è obiettiva, non è una prova di nulla. L'occhio del fotografo ci fa vedere quello che vuole, ci fa vedere la sua interpretazione di qualcosa che sta avvenendo in luoghi lontani e vicini. Di chi possiamo fidarci, se la foto non è verità e anche gli articoli possono essere manipolati? Della serietà di chi scatta e chi scrive, non prendendo per buono un video e una foto perché tale o perché è scritto da qualche parte, ma per la fiducia che il fotografo e il giornalista hanno costruito insieme alla loro reputazione. 

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