Paolo Longo è noto per essere stato per lungo tempo corrispondente della Rai in Cina. In realtà Longo ha frequentato tutto il continente asiatico nel suo lavoro di giornalista. Per raccontare quello che i suoi occhi vedevano e la sua esperienza gli rendeva chiaro ha scelto il mezzo fotografico.
"Quando ho cominciato a fotografare ho sperimentato di tutto, ho vagato da un lato all’altro dello spettro della fotografia, sono entrato in punta di piedi nei grandi filoni, Henri Cartier Bresson, Luigi Ghirri, Robert Franck, August Sander, i nudi, il bianco nero, il colore, ma ho scoperto subito che mi piaceva soprattutto essere un cronista, raccontare storie attraverso le immagini, proprio come racconto storie per la radio o la televisione."
Nella mostra Le tentazioni dell'Asia, al Castello Svevo di Bari fino al 4 luglio, la sua attenzione per il reportage si manifesta in modo chiaro. Non c'è nulla che rimandi a una visione dell'Oriente come un luogo esotico, perché tenta di raccontare qualcosa, una storia. Vengono mostrate istantanee di aspetti pregnanti della vita dei Paesi che Longo ha visitato come corrispondente. Ne traccia i contorni, riferendosi ad alcuni aspetti particolari, come il culto di Mao in Cina o i pellegrinaggi in Tibet. Mostra le differenze del Giappone tradizionale e quello occidentalizzato, come anche l'Afghanistan dei burka disperati e della guerriglia sempre pronta.
La mostra è suddivisa in cinque sezioni principali: Yemen, Afghanistan, Cina, Tibet, Giappone. Oltre queste, qualche scatto è dedicato ad altri paesi come l’India, la Corea del Nord, le Filippine, la Cambogia.
Difficile parlare di un moderno orientalismo, che aveva il difetto di trattare l'Oriente come un luogo esotico. Molto spesso il fotografo dell'Ottocento tendeva a mortificarlo. Per quanto possano sembrarci affascinanti e geishe e i samurai ritratti da Felice Beato, erano messi in posa appositamente e, se per le geishe poteva essere in qualche modo accettabile e accettato (loro stesse avevano vantaggi per i loro affari con le cartoline che potevano distribuire ai clienti), i nobili samurai ne sono usciti sconfitti, tramutando le loro armature e le loro armi in oggetti da esporre per mero arredamento, alla stregua di una ceramica. La banalizzazione peggiore, da cartolina, è stata quella ai danni del seppuku. Longo è molto più rispettoso dell'essenza di questo Oriente, vicino e lontano. Lo ritrae ponendosi come un osservatore antropologico, dal di dentro, restandone fuori.
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