mercoledì 28 marzo 2012

Avere qualcosa da dire

Caronte, G. Dorè, illustrazione nell'edizione della
Divina Commedia di fine Ottocento.
Svegliarsi la mattina e dire: "Io voglio fare l'artista". Sì, 'fare', perché è questo il verbo che si usa più spesso, quasi che si tratti di un mestiere. Il verbo 'essere' implicherebbe un ruolo più impegnativo, che non è più ben definito, se mai un ruolo sia mai stato ricoperto dall'artista.
La parola artista è inflazionata: la usano in tanti per indicare tanti modi di fare e di essere differenti, chi primeggia (e nemmeno poi così tanto) in qualche campo particolare. La sentiamo applicata ai cantanti di qualunque genere, ai pittori, ai fotografi, agli showman, ai calciatori. Non si capisce più cosa effettivamente voglia significare.
Se dovessimo prendere in considerazione il significato etimologico, l'artista è colui che, seguendo determinate regole, è capace di operare in modo mirabile e di produrre determinati beni, necessari e non. Purtroppo la considerazione etimologica non ci aiuta molto, se è di Arte che vogliamo parlare. 
Seguendo la storia, l'artista ha considerazioni differenti nei secoli e a me piace guardare a quei periodi in cui l'artista è anche il genio o semplicemente qualcuno che ha qualcosa da dire con la sua arte, che ha un scopo preciso nel mondo e nella società. 
Ho trovato particolarmente interessante la concezione di 'artista' di Wassily Kandinsky
Ne "Lo spirituale nell'arte", prima di arrivare alle conclusioni di questo suo libro, intitola un capitolo "L'opera d'arte e l'artista".
Nell'incipit ci fa sapere subito che per lui si tratta di due entità indipendenti. Hanno entrambi una spiritualità, una vita concreta e una personalità. Appena viene alla luce, l'opera d'arte si stacca dal suo creatore. Va premesso che per Kandinsky l'arte ha una sua spiritualità, non esiste l'arte laica, non riesce a concepirla, perché considera che l'arte agisca sulla parte emozionale dell'uomo, sulla sua anima, sulla sua interiorità. Le sensazioni superficiali lasciano il tempo che trovano: l'effetto puramente fisico che l'arte ha sull'uomo, la bellezza che colpisce lo sguardo restano superficiali e, quando si posano gli occhi altrove, non rimane nulla di quella esperienza. E' l'effetto psichico del colore che per Kandinsky conta, quello che 
"fa emozionare l'anima." (p. 44)
Contatto con l'anima e necessità interiore sono alla base dell'arte, perché, scrive sempre in una nota del suo libro,
"non c'è niente al mondo che non significhi nulla." (nota a pag. 49) 
Lo spirituale nell'arte punta molto sul significato della forma e del colore, ma anche del suono e del sapore. Tutti i sensi sono coinvolti nel contatto tra mondo esterno e mondo interiore, quell'anima fondamentale per il russo. 
Ed ecco che bisogna avere qualcosa da dire, altrimenti ci si approccia all'arte seguendo un principio che Kansinsky non apprezza molto: "art pour l'art"; questo principio ci fa ammirare la bravura tecnica di un artista, ma 
"le anime affamate restano affamate." (p. 20)
Per lui l'artista non è libero, ma deve rispondere a tre esigenze mistiche: la sua personalità che deve essere espressa nell'opera d'arte; la sua epoca, perché è calato in tempo e in uno spazio che definisce in parte i limiti entro cui si muove l'artista (limiti che l'artista deve superare e per questo nel libro sviluppa la sua teoria dei triangoli, ma non ne parlerò adesso); l'arte stessa, che deve essere espressa: è in tutti gli uomini, in tutte le epoche in tutti i luoghi. 
Oltre queste caratteristiche tecniche che ricava, arriva a una conclusione particolare, da espressionista puro: è tutta questione di sentimenti. L'arte agisce sui sentimenti dello spettatore, quindi non può che nascere dai sentimenti dell'artista. Portando tutto sul piano spirituale, considera il talento evangelico.
Che cosa può fare l'artista? Anzi, cosa deve fare? 
"L'artista deve avere qualcosa da dire, perché il suo compito non è quello di dominare la forma, ma di adattare la forma al contenuto. L'artista non è un beniamino della vita; non ha il diritto di vivere senza un compito, deve svolgere un lavoro duro, che spesso è la sua croce. Deve sapere che le sue azioni, i suoi sentimenti, i suoi pensieri sono il materiale sottile, impalpabile ma concreto che forma le sue opere. L'artista non è libero nella vita, ma solamente nell'arte." (p. 89)
Ciò che risulta difficile comprendere è che per Kandinsky tutto questo è spontaneo e inaspettato all'artista stesso. Lo scrive in una nota, quasi voglia sperare che nessuno se ne renda conto. 
C'è un'altra cosa molto divertente nelle sue osservazioni sulla sua epoca, sparse tra le riflessioni sull'arte. Già nel 1910 considerava che ormai molti artisti non facevano altro che produrre qualcosa di vendibile e che il loro scopo fosse il compenso monetario. L'arte creata ad hoc la considerava inutile e si associa alla sua diffidenza verso l'art pour l'art.
Oggi avrebbe tanto da scrivere sull'arte inutile. 


Le citazioni sono tratte da: 
E. Pontiggia (a cura di) W. Kandinsky, Lo spirituale nell'arte, SE edizioni, Milano, 2005

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