E' pur vero che la sua carriera comincia proprio al di là dell'oceano, inizialmente nel cinema, per poi arrivare alla fotografia, quando incontra Edward Weston, di cui diventa l'amante.
Molti ricorderanno che è stata interpretata nel film Frida, diretto da Julie Taymor, considerato il suo rapporto di amicizia (e non solo) con la pittrice messicana.
A Città del Messico, Tina svolge la sua seconda attività, ovvero quella di propaganda comunista ed è in questo frangente che conosce Frida, insieme a molti altri esponenti del Partito.
Quello che ci interessa è la sua carriera di fotografa. Weston si può dire che diventa suo maestro, per quanto suo zio prima e suo padre dopo possano averle insegnato i rudimenti dell'arte e forse l'incontro a San Francisco con la fotografa Dorothea Lange può essere stato uno spunto interessante per avviare la sua carriera. E' qui che acquista una camera Graflex. con la quale partirà per un viaggio in Messico per raccogliere immagini con Weston per il libro di Anita Brenner, Idols Behind Altars.
La vera svolta ci sarà quando il rapporto con Weston finisce. Inizia a dedicarsi ai ritratti e contemporaneamente aderisce al Partito Comunista, fino a partecipare alle manifestazioni in favore di Sacco e Vanzetti, in quegli anni a processo per il reato di essere anarchici.
Le sue fotografie così passano da elementi naturali, dall'attenzione per fiori e piante, ad avere un interesse sociale, legato al partito, alla condizione dei lavoratori, alle manifestazioni, facendo di lei una vera e propria attivista.
La sua idea su cosa sia la fotografia è molto chiara e lo scrive nel suo manifesto Sobre la fotografia, pubblicato nel 1929 su Mexican Folkways.
Sempre, quando le parole “arte” e “artistico” vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo. Questo è dovuto sicuramente al cattivo uso e abuso che viene fatto di questi termini. Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni. La maggior parte dei fotografi vanno ancora alla ricerca dell’effetto “artistico”, imitando altri mezzi di espressione grafica. Il risultato è un prodotto ibrido che non riesce a dare al loro lavoro le caratteristiche più valide che dovrebbe avere: la qualità fotografica.
Negli anni recenti si è molto discusso se la fotografia possa o non possa essere un lavoro artistico comparabile alle altre creazioni plastiche. Naturalmente ci sono molte opinioni diverse. Ci sono quelli che accettano veramente la fotografia come mezzo d’espressione alla pari con qualsiasi altro, e altri che continuano a guardare in modo miope al ventesimo secolo con gli occhi del diciottesimo, incapaci di accettare le manifestazioni della nostra civiltà meccanica. Ma per noi che usiamo la macchina fotografica come uno strumento, proprio come il pittore usa il pennello, queste diverse opinioni non hanno importanza.
Noi abbiamo l’approvazione di coloro che riconoscono i meriti della fotografia nei suoi aspetti multipli e l’accettano come il più eloquente,il più diretto mezzo per fissare, per registrare l’epoca presente. Sapere se la fotografia sia o non sia arte importa poco. Ciò che è importante è distinguere tra buona e cattiva fotografia. Per buona si intende quel tipo di fotografia che accetta tutte le limitazioni inerenti la tecnica fotografica e usa al meglio le possibilità e caratteristiche che il medium offre. Per cattiva fotografia si intende ciò che è fatto, si potrebbe dire, con una specie di complesso d’inferiorità, senza apprezzare ciò che la fotografia in se stessa offre, ma al contrario ricorrendo ad ogni sorta di imitazioni. Le fotografie realizzate in questo modo danno l’impressione che l’autore quasi si vergogni di fotografare la realtà, cercando quasi di nascondere l’essenza fotografica stessa della sua opera, con trucchi e falsificazioni che può apprezzare soltanto chi possiede un gusto deviato.
La fotografia, proprio perché può essere prodotta solo nel presente e perché si basa su ciò che esiste oggettivamente davanti alla macchina fotografica, rappresenta il medium più soddisfacente per registrare con obiettività la vita in tutti i suoi aspetti ed è da questo che deriva il suo valore di documento. Se a questo si aggiungono sensibilità e intelligenza e, soprattutto, un’idea chiara sul ruolo che dovrebbe avere nel campo dello sviluppo storico, credo che il risultato sia qualcosa che merita un posto nella produzione sociale, a cui tutti noi dovremmo contribuire.
Per Tina Modotti la fotografia è dunque un documento con valenza sociale e non riesce a staccare la sua attività di fotografa dal suo essere un'attivista comunista. Anche la sua mostra presso l''Università Autonoma di Città del Messico si trasforma in atto rivoluzionario per il contenuto e la qualità delle fotografie e per l'infuocata presentazione tenuta dal pittore Siqueiros.
Il suo attivismo prende il sopravvento, è costretta a lasciare il Messico per la Russia, dove ci sarà la sua ultima mostra e dove fotografa sempre meno. In Europa, nella lotta contro i Fasciscmi, ha l'opportunità di conoscere altri grandi esponenti della cultura del periodo, come Robert Capa ed Hemingway.
Nella notte del 5 gennaio 1942, dopo una cena con amici Tina Modotti muore, colpita da infarto, dentro un taxi che la sta riportando a casa. Le speculazioni sulla sua morte arrivano ad indignare Pablo Neruda, che scrive il suo epitaffio.
Il suo essere una donna libera e poi una comunista hanno portato all'oscurantismo sulla sua carriera e sulla sua vita, troppo oltre quello che l'Italia piccolo-borghese avrebbe potuto sopportare. E' solo dagli anni '90 che si è aperto lo spiraglio, sono state organizzate mostre, si è avuta una attiva divulgazione della sua opera.
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