Takashi Murakami , The Oval Buddha, 2007 |
Pop. Pop per molti è una specie di parolaccia. Se qualcosa è "pop" è scadente, è ovvia, inutile, banale. In realtà la banalità e l'inutilità possono essere individuati anche in ciò che pop non lo è affatto.
La Pop Art è stata una corrente rivoluzionaria all'interno del concetto stesso di Arte. L'Arte era bene o male considerata l'espressione dello spirito umano, della sua creatività e della sua interiorità; ciò che non poteva essere raccontato a parole, poteva comunicarlo una tela, una scultura, anche un semplice colore. Nella prima metà del Novecento era stato fondamentale questo tipo di concezione, che si trattasse di espressione cosciente o inconscia, "automatica" di se stessi. E proprio a partire dagli Espressionisti e dai Dadaisti, in particolare, che ha iniziato a venir fuori un nuovo modo di intendere l'arte. Se si hanno dubbi su questa paternità, basta dare un'occhiata alla famosa L.H.O.O.Q di Marcel Duchamp.
La Pop Art ha poi preso letteralmente il volo negli Stati Uniti, che negli anni '60 erano già una vera e propria società dei consumi, dato che l'Europa ha dovuto faticare molto di più dopo la Seconda Guerra Mondiale. La zuppa Campbell di Andy Warhol, i fumetti di Lichtenstein alle scatolette di dubbio contenuto di Piero Manzoni.
Ma cosa succede quando questo modo di intendere l'arte incontra l'Oriente?
Un esempio è Takashi Murakami. Questo artista giapponese è stato molto influenzato dalla Factory di Warhol, dell'istituzione di uno studio d'artista che fosse anche un luogo in cui coltivare nuovi talenti, un'operazione che gli è riuscita in modo efficace.
Kaikai Kiki Co. è il nome del suo collettivo e si produce di tutto con un'accezione della Pop Art particolare, detta Poku. La Poku nasce dall'unione di Pop + Otaku, ovvero l'ossessione per i manga, gli anime e i videogiochi. Quando si guardano le sue opere si entra in confusione proprio perché sembra di essere di fronte a illustrazioni per fumetti, ai loro personaggi o ai gadget di un nuovo videogioco. Ci sono due sedi: una a Tokyo e l'altra, per ovvie ragioni a New York. Si producono opere d'arte, ma Murakami è stato capace di disegnare una nuova fantasia per Louis Vuitton (per intenderci, basta guardare sulle bancarelle le borse "stile Louis Vuitton" fondo bianco e logo e piccoli disegni colorati e molte altre fantasia) e produce qualsiasi cosa possa essere commercializzata: carta da parati, agende, cuscini, caramelle, giocattoli e tanto altro ancora.
Oggi mi interessa una sola opera: The Oval Buddha.
Si tratta di una scultura in metallo di 6 metri d'altezza, rivestita in platino, proposta per la mostra organizzata dal Moca di Los Angeles. La scultura è composta da una base (un elefante) da cui prende origine un fiore di loto; su questo fiore è seduto il Buddha in questione. Autoritratto dell'artista, presenta due facce: una serena nella parte anteriore della scultura e una posteriore con la bocca spalancata e una fila di denti aguzzi, una sorta di Giano. Ciò che colpisce è l'impressione che sia un personaggio decisamente venuto fuori da un manga, ma con una particolare attenzione alla cultura giapponese, in particolare a quella buddista. Un paragone efficace è la grande statua di Buddha di Kamakura: questa scultura risale al XIII secolo e non c'è un tempio a proteggerla. Il suo essere isolata dal resto del luogo di culto è dovuto ai molteplici eventi naturali, dalle tempeste agli tsunami, che hanno letteralmente spazzato via le strutture in legno, lasciando come testimonianza della religione la sola scultura in bronzo, molto più grande rispetto a quella di Murakami (più di 13 metri).
Materiali nobili e otaku, Oriente e Occidente mescolati in un modo che di certo colpisce.
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