Ho sempre pensato che spesso si ha la tendenza a considerare i poeti e gli artisti privi di qualsivoglia difetto caratteriale. Nulla di più falso.
Falsa è anche l'idea che l'arte e la poesia raccontino la verità.
Non sempre si usa la poesia per rivelare l'intimo sé stesso, ma si possono anche veicolare emozioni e sentimenti che si vorrebbero provare, ma che, per qualche ragione, non fanno parte della propria quotidianità.
Uno dei poeti che mi ha sempre affascinato in questo senso è John Keats. E' uno dei maggiori esponenti del Romanticismo inglese ed è famosissima la sua poesia intitolata "Leggiadra stella", dedicata alla donna che amava, Fanny Brawne.
Leggendo le sue poesie sembra tutto bellissimo: dall'innamoramento per la sua vicina di casa al sentimento sincero che li lega.
Tutto cambia quando si legge lo scambio epistolare tra i due (in realtà solo quelle scritte dal poeta, perché quelle scritte da Fanny furono distrutte su ordine di Keats stesso). Le lettere di Keats conservano qualche slancio amorevole verso la ragazza, ma quello che serpeggia tra le righe, e a volte emerge prepotentemente, è una sorta di invidia nei confronti di Fanny.
L'invidia nasce dal fatto che Keats era malato. Sapeva benissimo che nulla poteva curarlo, avendo studiato medicina. Aveva visto morire sua madre e aveva curato il fratello fino alla fine. La morte gli è sempre stata accanto, in qualche modo. Lui si trascinava verso la morte, mentre Fanny era piena di vita.
Nella lettera XVIII inizia ad emergere una certa cattiveria nelle sue parole:
Vederti felice e allegra è per me di grande consolazione - eppure lasciami credere che non sei felice nemmeno la metà di quanto lo saresti se io guarissi.
Quasi gode nel saperla triste e preoccupata per lui. In realtà penso che questa sia la sua sola consolazione.
In altri casi ammette lui stesso di essere invidioso (lettera XXXII):
Oggi ho invidiato la tua passeggiata con Sam; ma non lo farò più, perché l'invidia potrebbe stancarmi molto.
Non si rammarica di certo perché si tratta di un sentimento negativo, specie riguardo la donna che ama, che tanto si preoccupa per lui. No, si potrebbe stancare nel provarla.
Per trovare sollievo dalla sua malattia polmonare, John Keats partì per l'Italia. Odiava gli addii, ma per una convalescenza più efficace in un clima più mite, doveva separarsi da Fanny, non avendo più alcun contatto con lei. Non aprì nessuna delle sue lettere che gli arrivarono nel Bel Paese: solo leggere la sua grafia e il suo nome lo agitava.
Nella lettere XXXVI dà il meglio di sé:
Mia diletta Fanciulla,
ieri ti ho scritto una lettera pensando di vedere tua madre. Sarò abbastanza egoista da spedirla pur sapendo che può causarti qualche pena, ma voglio che tu veda quanto solo infelice per amor tuo, [...] Ho un qualche diritto di volere che tu sia infelice per me? [...] Quando ho saputo che andavi in città da sola è stato un colpo per me - eppure me l'aspettavo - promettimi che non lo farai più per qualche tempo, finché non starò meglio. [...] Potresti anche dire: che egoismo, che crudeltà s non lasciarmi godere la mia giovinezza! a volere che io sia infelice! Devi esserlo se mi ami. In fede mia, nessun'altra cosa può appagarmi. Se proprio vuoi, come si dice, divertirti in Società, se sei capace di sorridere davanti agli altri e di desiderare di essere ammirata, non mi hai mai amato, e non mi amerai mai. [...] Se ci amiamo non dobbiamo vivere come vivono gli altri, omini e donne . io non posso sopportare la malapianta della moda, la superficialità delle chiacchiere - devi essere mia sino a morire sulla ruota se lo voglio. [...] desidero seriamente che tu esamini le mie lettere gentili o meno e consideri se la Persona che le ha scritte possa sopportare ancora a lungo le angosce e le incertezze che sei così abile a causare.
Ammetto di averlo odiato profondamente. A sua discolpa si può solo dire che la malattia lo stava decisamente logorando, ma nessuno dovrebbe scrivere cose del genere a qualcuno, caricandolo della propria infelicità e desiderando la sua sofferenza per il solo gusto di non essere il solo a soffrire.
Ormai Keats si avvia verso il delirio (lettera XXXVII):
Tu non ti senti come mi sento io - tu non sai cosa significa amare - forse un giorno lo saprai - non è ancora giunto il tuo tempo. Chiediti quante ore infelici e in solitudine ti ha causato Keats. Quanto a me, io sono stato un Martire tutto il tempo, e per questo parlo; la confessione mi è sorta con la tortura. Te lo chiedo per il sangue di quel Cristo in cui credi: non scrivermi, se in questo mese hai fatto qualcosa che mi avrebbe addolorato vedere. Puoi essere cambiata - se non così, se ancora di comporti come ti ho visto fare nelle sale da ballo e con altre compagnie - non voglio vivere - se hai fatto questo, mi auguro che la prossima notte sia l'ultima. Non posso vivere senza di te, e non soltanto te, ma te casta, te virtuosa.
Non era importante cosa Fanny facesse realmente. Per lui era un insulto che lei vivesse felice e in salute. Doveva immolarsi, vivere come lui, reclusa, per non fargli uno sgarro. Altri tempi? No, solo una mente provata dalla sua salute fisica. Va detto che poi le chiede scusa, perché Fanny lo accusa (giustamente) di averla maltrattata.
John Keats arriverà in Italia per trovare sollievo, ma nel febbraio del 1821 morirà a Roma.
Fanny Brawne portò a lungo il lutto per la morte del poeta, ma poi si sposò. Nascose al marito la sua relazione con Keats, raccontandogli solo che l'aveva conosciuto. Raccontò, però, ai suoi figli tutta la verità e consegnò loro le lettere, in modo che potessero essere rese note solo alla morte del loro padre.
Furono pubblicate in un libro nel 1878, ma la critica e i fan del poeta considerarono Fanny indegna dell'amore del poeta, perché aveva rivelato l'imperfezione di Keats, la sua invidia, le sue debolezze, il suo masochismo e sadismo. Diventava da grande poeta romantico a capriccioso fanciullo, poco virile, molto femmineo e totalmente contrario alla moralità di stampo vittoriano.
Eppure, per quanto a volte si può biasimare Keats per quello che ha scritto, proprio il fatto essersi mostrato umano lo rende un poeta più grande.
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