Uno dei quesiti che ogni tanto sbuca in qualche forum di discussione è se sia lecito considerare la pubblicità una forma d'arte. Le opinioni sono discordanti e di certo la confusione messa in atto da alcuni artisti (conclamati, come una malattia) non fa di certo chiarezza sull'argomento.
E' vero che spesso, guardando la televisione o sfogliando una rivista, ci troviamo di fronte qualche immagine capace di stupirci, di meravigliarci e un pensiero che ci sfiora è quello della bellezza estetica. Un esempio chiaro possono essere le pubblicità degli yogurt Müller o le pubblicità degli elettrodomestici Whirlpool che vengono considerate "artistiche", perché sono cariche di una certa eleganza di fondo. Ne ho sentiti molti di commenti in questo senso e ammetto che sono piacevoli alla vista, ma che poi lasciano il tempo che trovano (alcune sono vomitevoli e vorrei sapere come mai in un gruppo che lavora a una campagna pubblicitaria non venga un dubbio, non abbia obiezioni da fare).
Ulteriore confusione avviene quando è un artista che decide di firmare delle campagne pubblicitarie e l'esempio migliore è quello di Oliviero Toscani per la Benetton, oppure anche Andy Warhol che involontariamente fece impennare le vendite della Zuppa Campbell, ma la sua non era una campagna pubblicitaria.
Se per le pubblicità che passano in televisione è più facile toglierle l'etichetta di "arte" (la videoart genera ancora diffidenza da parte del pubblico), difficile è sfogliare le riviste e guardare le immagini, le fotografie, le grafiche che caratterizzano le pubblicità.
Uno degli esempi più incalzanti è quello di Fortunato Depero, artista futurista, che di pubblicità di occupa e che scrive un volume, il "Numero Unico Futurista Campari" (1931), nel quale è contenuto il "Manifesto dell'arte pubblicitaria futurista", ma anche un altro volume interessante noto come "Libro imbullonato".
I titoli dei due libri ci danno qualche informazione, ci fanno da spia. Depero parla di arte pubblicitaria e nomina una delle industrie ancora oggi importanti a livello nazionale e internazionale, Campari. Ancora più importante ci dicono a che movimento appartenesse Depero: il Futurismo.
Va fatta una premessa. Il Futurismo gode di una pessima reputazione e in Italia non viene molto preso in considerazione. Il legame tra questo movimento artistico-letterario con il Fascismo lo mette in cattiva luce. Purtroppo si tende a far passare in secondo piano due dati; il primo è che il Futurismo è l'ultimo movimento artistico italiano che è stato capace di avere un peso mondiale sull'arte e quindi dovrebbe avere una maggiore considerazione; il secondo è che il Futurismo viene prima del Fascismo, inizia nel 1909, mentre Mussolini sale al potere nel '22. Successivamente, è vero, gli artisti futuristi hanno apprezzato il Fascismo e lo hanno approvato, ma bisognerebbe leggere il loro Manifesto per capire come mai e un dettaglio interesserà questa analisi.
Fatta questa piccola parentesi, torno a parlare di pubblicità e di Depero.
L'attività di pubblicitario di Depero si è svolta lungo decenni che hanno visto l'Italia muoversi verso l'industria e impennarsi negli anni '30: tutte e due si impennano in questo preciso momento storico, sia l'industria italiana che la carriera di pubblicitario di Fortunato. Ne consegue che l'attività della pubblicità diventa importante. Non che prima non ci fosse attenzione, ma, semplicemente, si cercava di venire fuori dalle infiorettature dello Stile Liberty imperante.
Depero è uno di quegli artisti che non fu apprezzato da quelle istituzioni che dovrebbero insegnare l'arte, se mai si insegna, forse si educa, nell'accezione latina del termine. Tenta di entrare all'Accademia di Belle Arti di Vienna, ma viene rifiutato, così le sue ossa se le fa per conto proprio e nel 1915 arriva a Roma, conosce Balla, Boccioni, Marinetti e tutto il movimento. E' da qui che inizia un po' la sua avventura.
Cosa inventa Fortunato Depero riguardo la pubblicità? Quali sono i concetti che hanno rivoluzionato il modo di vedere e considerare la pubblicità?
Intanto inserisce un concetto interessante, quello dell'auto-réclame:
"L'auto-réclame non è vana, inutile e esagerata espressione di megalomania, ma bensì indispensabile NECESSITÀ per far conoscere rapidamente al pubblico le proprie idee e creazioni"
Il primo problema che si pone è questo. Ogni artista deve imparare a pubblicizzare sé stesso, farsi conoscere, farsi pubblicità. Questo concetto lega fermamente la pubblicità all'arte come una necessità di quest'ultima, imprescindibile ed è deleterio privarla di questa possibilità.
Già in questa considerazione, fatta negli anni '20, ci fa riflettere su qualcosa di unico. Altra cosa particolarissima nella sua considerazione era che non si capacitava che il proprietario di un'azienda rifiutasse un bozzetto. Per lui quella era un'opera d'arte, non qualcosa da fare a servizio di qualcos'altro, ma non considerava l'industria qualcosa di poco artistico, anzi:
"Un solo industriale è più utile all'arte moderna ed alla nazione che 100 critici, che 1000 inutili passatisti."
Da buon futurista considerava il progresso tecnico e scientifico fondamentale per l'arte. Marinetti lo aveva scritto che:
"Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta."
Il progresso... e il progresso c'è anche nella considerazione del cartellone pubblicitario e del packaging. La bottiglietta del Campari è un esempio. Si parte da lì, da subito, dal design di un prodotto, prodotto che scompare completamente dalle locandine. Non la vediamo la bottiglia con il liquido rosso nei cartelloni, ma solo omini stilizzati, a volte colorati, altre in bianco e nero, riconoscibili e ancora di più è riconoscibile il marchio. Campari. Puro e semplice. Se si toglie il prodotto e resta il nome, si lavora sul carattere utilizzato per i manifesti. Scrive Emanuele Pirella:
"I caratteri esplosi, deformati e resi espressivi facevano parte della poetica futurista. Sul lettering, Depero era capace di trasformare le parole in immagini, e anche la sua voglia di applicarsi a tecniche e materiali differenti nasceva dalla visione del mondo dei futuristi. C'erano in lui l'ansia della meraviglia e la capacità ardente di affrontare il nuovo, che poi sono l' eredità di Marinetti"
Il carattere tipografico diventa rigido ed espressivo, si gioca sulle dimensioni. Il carattere tipografico diventa architettura, nel Padiglione del Libro alla III Biennale di Monza, per la casa editrice Treves.
Il liquore Strega, le biciclette Bianchi, la Magnesia S. Pellegrino, le copertine di Vogue e di Vanity Fair sono rimaste nella storia e ci mettono di fronte al problema non risolto. Insomma, è arte o no?
Depero dice di sì, dice che:
“L’arte dell’avvenire sarà potentemente pubblicitaria”
e non si rassegna a cestinare i cartelloni scartati dalle industrie. Nel 1933 con il suo gruppo organizzò a Milano "La mostra del cartello rifiutato".
Avrei concluso qui questo intervento, però mi sento in dovere di scrivere una nota.
C'è una certa difficoltà nel reperire materiale su questo argomento. E' assurdo pensare quanto un artista abbia dato per un determinato campo e constatare che di questo non freghi niente a nessuno. Esiste qualche tesi di laurea, ma sono i soliti mucchi di carta che finiscono a far la muffa in un armadio, se non vengono gettate via subito dal relatore. Io non ho la formazione adatta per parlare di comunicazione e di strategie commerciali per la vendita di un prodotto, non è il mio campo, non mi interessa nemmeno analizzare quanto sia stata efficace la sua attività con dati economici alla mano. Do per buono che, se la collaborazione Depero-Campari sia durata anni, funzionava bene. Su Depero c'è qualcosa pubblicato, ma anche tanti libri di difficile reperibilità, anche volendo pagare per leggerli, tanti libri sulla pubblicità in generale, ma non so quanto affrontino il problema "Depero". Una mostra al MART a Rovereto ha passato in rassegna la pubblicità, ma al momento il costo del catalogo non è nelle mie possibilità.
Il suo Manifesto sulla pubblicità sono riuscita a leggerlo a sprazzi. Prima o poi farò un salto a Brindisi per leggerlo per intero.
2 commenti:
Credo che l'arte sia stata pubblicitaria anche in passato: in fin dei conti tutti i dipinti presenti nelle chiese non hanno lo scopo di pubblicizzare il prodotto Cattolicesimo? Non vedo tutta questa differenza fra i lavori di Depero e quelli di Michelangelo: entrambi su commissione, entrambi col preciso scopo di far conoscere un prodotto rendendolo attraente, entrambi con un certo margine di creatività individuale.
No, in realtà sono estremamente differenti. Qui lo scopo è vendere, il fatto che sia su commissione non ha molta importanza per rendere assimilabili le due cose.
Il Cattolicesimo non era considerato un prodotto, direi quasi che non avevi molta scelta, dovevi essere cattolico, altrimenti era peggio per te. Se venivano accettati gli ebrei era solo per questione economica, non per altre ragioni. Parliamo poi di santità di alcune immagini e anche della divulgazione, non della pubblicità.
Spiace, ma no, non sono assimilabili.
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