Erato, Muse of Poetry, 1870, Sir Edward John Poynter |
Potrebbe sembrare il titolo di un racconto o di un romanzo. Niente di tutto ciò.
Mentre leggevo un saggio di Virginia Woolf, mi sono imbattuta nelle considerazioni di un critico letterario, Sir Arthur Quiller-Couch, un uomo che ha analizzato la poesia inglese dal 1250 al 1900, un esperto, possiamo dirlo con una certa sicurezza.
Le considerazioni estrapolate sono scritte nel 1916 e si riferiscono alla poesia dell'Ottocento inglese e la sua analisi ha poco di poetico e tanto di materiale.
"Quali sono i nomi dei grandi poeti degli ultimi cento anni o giù di lì? Coleridge, Wordsworth, Byron, Shelley, Landor, Keats, Tennyson, Browning, Arnold, Morris, Rossetti, Swinburne - e possiamo fermarci qui. Fra questi, tutti eccetto Keats, Browning e Rossetti, avevano frequentato l'università; e di questi tre, Keats, che morì giovane, stroncato nel fiore degli anni, era il solo che non fosse abbastanza ricco. Può sembrare un'affermazione brutale ed è certo una cosa triste a dirsi, ma a giudicare dai fatti, la teoria secondo la quale il genio poetico fiorisce dove vuole e allo stesso modo fra i poveri e fra i ricchi, contiene ben poca verità.
A dire il vero nove su dodici avevano studiato all'università, il che significa che in un modo o nell'altro si erano procurati i mezzi per ottenere la migliore istruzione che l'Inghilterra possa offrire. [...] Credetemi [...] possiamo continuare a blaterare di democrazia, ma di fatto in Inghilterra, un ragazzo povero, ha poca speranza in più di quanta ne aveva il figlio di uno schiavo della antica Atene di riuscire ad emanciparsi per raggiungere quella libertà intellettuale dalla quale nascono le grandi opere."
Brutale, secco, ma chiaro, questo è certo.
La Woolf nel suo saggio si interrogava sulle donne e il romanzo, sul perché ci fossero così poche scrittrici, sul perché quelle che piano piano si sono fatte strada spesso mostrassero, a suo parere, una rabbia sessista che rovinava le loro opere, troppo impegnate a difendersi dalle accuse di incapacità e debolezza, troppo prese dalla propria condizione sociale per riuscire a scrivere veramente bene. Su una cosa concordavano: senza la disponibilità economica per studiare e per mantenersi non è possibile mettere mano alle penne.
Alla fine, la poesia è un problema di denaro e questo rende tutto molto triste. Le eccezioni sono ben poche e io in effetti non le conosco. Nel caso del citato Rossetti, poteva ben mantenersi con i suoi dipinti e, anche se non aveva frequentato l'università, conosceva la maggior parte dei poeti a lui precedenti e aveva nel suo curriculum studiorum un'altra istituzione, quella della Royal Academy.
Qualcuno potrebbe pensare che nella rabbia e nel dolore è più facile scrivere, ma in quel caso sono propensa a pensare che siano atti istintivi che muoiono con lo spegnersi dell'emozione del momento, troppo deboli per essere considerati veri atti poetici.
E' una triste verità quella che emerge dalle parole di Quiller-Couch, ma è indelebile e se pensiamo che non valga ancora oggi, ci sbagliamo di grosso. La sua conclusione è pesante come un macigno: un ragazzo povero è paragonato allo schiavo ateniese, la libertà intellettuale a quella politica, la democrazia diventa giustizia sociale. E di giustizia sociale si sono infiammate le strade di Londra in questi giorni, peccato che ormai il problema principale nei notiziari è che a causa dei disordini sia stata annullata la partita Inghilterra-Olanda.
6 commenti:
Il fatto che oggi più o meno tutti abbiano accesso ad un'istruzione universitaria ha cambiato le cose: siamo circondati da sedicenti poeti, le cui "opere" sembrano però spesso nate dalla penna di un bambino di 10 anni. Direi quindi che oggi c'è il problema opposto.
Vero è che lo studio è diventato una specie di passatempo. Se non sai cosa fare dopo la scuola dell'obbligo, ti iscrivi al grado di istruzione successivo. Non lo fai per vero interesse o sono pochissime le persone che fanno una scelta ragionata.
Incontro troppa gente per i corridoi dell'università che è totalmente negata per lo studio, che è lì, ma sono le classiche braccia levate all'agricoltura; sembra un detto stupido, ma ormai penso che nemmeno per questo mestiere vadano bene: anche per fare il contadino ci vuole una certa intelligenza e questi soggetti sono incapaci di capire un testo semplice, un libro scritto per i deficienti, figurarsi tenere a mente tutto l'occorrente per coltivare la cicoria!
Che riflessione interessante.
Certo sono d'accordo con i vostri commenti, ma esistono anche i talenti fuori dell'ordinario che trascendono il grado d'istruzione. Sono molto rari, ma ci sono, anche se in genere poi rimangono nell'anonimato, magari per mancanza di motivazione.
Purtroppo lo standard culturale si è abbassato, il problema oggi è del pubblico che possa fruire di questi talenti (la gente legge poco) e di un panorama editoriale sempre più deprimente...
Sicuramente ci sono le eccezioni che confermano la regola. E' anche giusto che ci siano, per cui esistono persone autodidatte che hanno studiato grazie alle biblioteche pubbliche, per esempio.
Di cultura sommersa ce n'è tanta, di gente che ha scritto qualcosa di valido e lo tiene nel cassetto anche, ma in media si è ad un livello basso.
E' vero anche che la gente legge poco, ma siccome il pubblico è scarso non è detto che si deve offrire materiale scarso.
Ai miei tempi ho letto libri per ragazzi scritti bene, magari con storie non proprio eccelse, ma scritti con un linguaggio articolato. Oggi i libri per ragazzi, e parlo delle ondate mocciesche, sono scritti che nemmeno Gianni Rodari scriveva così facile per i bambini di 8 anni, anzi i concetti affrontati da Rodari sono mille volte più profondi di Babi e Step e di tutti i loro amici messi insieme!
A 15 anni si possono già leggere Tolkien, Dumas, Hugo, Verne, Wilde, Bronte, Austen... a che età ci si vuole far affascinare dai Tre Moschettieri? O lasciarsi coinvolgere dalle sorelle Dashwood?
Il nuovo è usa e getta, nella maggior parte dei casi, qualcosa che difficilmente rileggeresti, hai ragione Laura!
Anche questo articolo è molto interessante, come dice Laura. Non saprei che altro aggiungere, sono completamente d'accordo con voi, Laura e Lucrezia. Se vogliamo, si ritorna di nuovo al fattore Istruzione: è in classe che ai ragazzini dovrebbe essere dato lo stimolo alle letture.
Il problema è che la scuola e l'università peggiorano. Il pubblico va indietro, il privato è variabile: quello basso serve solo a comprarsi il titolo di studio, quello alto è per pochi. Purtroppo di questo passo finiremo come gli Stati Uniti o l'Inghilterra, dove, se vuoi istruzione con la I maiuscola, devi pagare e si prenderanno cura di te. Il resto deve essere tutto lavoro personale e delle famiglie, che si devono occupare anche dell'istruzione, ormai, altrimenti si resta indietro.
La cosa che più sconvolge è che ci sono discipline, materie e concetti che, se non studi a scuola, difficilmente ti verrà in mente di recuperarli dopo, una su tutte la storia (la brutta bestia).
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