Capita di essere al mare, in montagna, su un treno, in aereo, da qualche parte e di tirare fuori dalla borsa un libro, cercare il segno lasciato con una cartolina e immergersi nella lettura. E' un'azione semplice. E' un'azione per alcuni quotidiana (o sperano di renderla tale).
Ho da poco finito la lettura del libro di Ray Bradbury, "Fahrenheit 451", è utile tenere a mente questo dettaglio.
Insomma, un ragazzo nemmeno ventenne ha notato il mattone che avevo lasciato sul bancone del bar dove lavoro (al momento) e mi ha fatto una domanda spiazzante, inquietante e al tempo stesso innocente: "Ti piace leggere?". Ho risposto ovviamente di sì, ma lui è parso scandalizzato (lo era stato già qualche giorno prima, quando gli ho detto di essere laureata in Storia dell'Arte... ma racconterò un'altra volta). Ed è qui che la domanda è sorta spontanea e terribile:
"A che serve leggere?"
Ecco, bella domanda, un po' da bambino di prima elementare, ma che al giorno d'oggi la fanno i diplomati.
In un primo momento non ho saputo rispondere. Quando qualcosa per noi è ovvia, perdiamo momentaneamente la capacità di spiegarla agli altri.