Caronte, G. Dorè, illustrazione nell'edizione della Divina Commedia di fine Ottocento. |
Svegliarsi la mattina e dire: "Io voglio fare l'artista". Sì, 'fare', perché è questo il verbo che si usa più spesso, quasi che si tratti di un mestiere. Il verbo 'essere' implicherebbe un ruolo più impegnativo, che non è più ben definito, se mai un ruolo sia mai stato ricoperto dall'artista.
La parola artista è inflazionata: la usano in tanti per indicare tanti modi di fare e di essere differenti, chi primeggia (e nemmeno poi così tanto) in qualche campo particolare. La sentiamo applicata ai cantanti di qualunque genere, ai pittori, ai fotografi, agli showman, ai calciatori. Non si capisce più cosa effettivamente voglia significare.
Se dovessimo prendere in considerazione il significato etimologico, l'artista è colui che, seguendo determinate regole, è capace di operare in modo mirabile e di produrre determinati beni, necessari e non. Purtroppo la considerazione etimologica non ci aiuta molto, se è di Arte che vogliamo parlare.
Seguendo la storia, l'artista ha considerazioni differenti nei secoli e a me piace guardare a quei periodi in cui l'artista è anche il genio o semplicemente qualcuno che ha qualcosa da dire con la sua arte, che ha un scopo preciso nel mondo e nella società.
Ho trovato particolarmente interessante la concezione di 'artista' di Wassily Kandinsky.
Ne "Lo spirituale nell'arte", prima di arrivare alle conclusioni di questo suo libro, intitola un capitolo "L'opera d'arte e l'artista".