Angelo annunciante, 1608, marmo, 185 cm, Francesco Mochi, Museo dell'Opera del Duomo, Orvieto |
Io e il Barocco non siamo mai andati troppo d'accordo. Trovo molti dei suoi elementi particolarmente nauseanti. Non posso usare un'altra parola per descrivere la sensazione che provo quando guardo le testine dei putti aggettarsi da altari, cornici e stucchi. E' proprio nausea quella che provo, ma c'è sempre qualcosa che piace meno nell'universo dell'Arte.
Prima che uno stile diventi moda, cosa che ammazza qualsiasi buona intenzione, esistono le vie di mezzo, i momenti di passaggio, le origini di qualunque cosa. Nell'Arte non esiste nessun cambiamento improvviso: niente viene fuori dal nulla o dalla mente malata di un artista che si sveglia una bella mattina e decide di farne una delle sue. Questo è un discorso che dovrebbe essere approfondito, ma, se guardiamo alla Storia dell'Arte, è più facile capire che appena dopo Michelangelo non ci sarebbe mai potuto essere Picasso e tanto meno Pollock: li avrebbero rinchiusi in manicomio e a ben ragione, direi.
Allo stesso modo l'eccesso del Barocco e del Rococò non sono sbucati dal nulla, ma da una lenta e graduale metamorfosi delle forme rinascimentali a quelle tipiche del periodo. Per rendere più facile la comprensione delle differenze, basta osservare il "Mosè" (1515-1542) di Michelangelo e uno dei "Quattro Fiumi" (1651) a Piazza Navona di Bernini. Vi sembrerà un paragone eccessivo, con più di cent'anni di differenza. Invece è il metodo giusto per capire. Se osserviamo il Profeta e il Rio de la Plata, possiamo trovare una perfetta monumentalità in entrambi, ma un diverso concetto di movimento.